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Recensione: Città Sola di Olivia Laing

Ciao a tutti! Oggi vi parlo di un libro che mi ha colpito particolarmente. Non si tratta di un romanzo, bensì di un saggio. Io credo che sia molto importante leggere questo genere di libri, ci fa riflettere su temi e argomenti a cui magari, nella vita frenetica di tutti i giorni, non ci capita di pensare.

Dopo questa premessa vi presento il libro in questione.

TITOLO: Città sola

AUTORE: Olivia Laing Trad. ita: Francesca Mastruzzo

EDITORE: ilSaggiatore

DATA DI PUBBLICAZIONE: Maggio 2018

PAGINE: 292 (cartaceo)

GENERE: Saggio

VOTO: ♥♥♥♥

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SINOSSI: Bisogna aver toccato l’abisso per saperlo raccontare. Per descrivere il vuoto avvolgente di una ferita che diventa uno stigma o l’angosciante cantilena che rimbomba in una casa di cui si è da sempre l’unico inquilino. Per restituire con la sola forza della voce certi angoli della metropoli, dove la suburra si fa rifugio e l’esclusione sollievo; per dire il loro improvviso, tragico trasformarsi da giardino delle delizie in inferno musicale.
Olivia Laing rompe le pareti dell’ordinario e edifica all’interno della New York reale una seconda città, fatta di buio e silenzio: un’onirica capitale della solitudine, cresciuta nelle zone d’ombra lasciate dalle mille luci della Grande Mela e attraversata ogni giorno dalle storie di milioni di abitanti senza voce. Un luogo in cui coabitano le esperienze universali di isolamento e i traumi privati di personaggi come Andy Warhol, Edward Hopper e David Wojnarowicz; in cui ogni narrazione è allo stesso tempo evocazione e confessione.
Quella tracciata da Olivia Laing è una visionaria mappa per immagini del labirinto dell’alienazione. Un flusso narrativo che investe le strade di New York e nel quale si mescolano la morte per Aids del cantante Klaus Nomi e l’infanzia dell’autrice, cresciuta da una madre omosessuale costretta a trasferirsi di continuo per sfuggire al pregiudizio; gli esperimenti sociali di Josh Harris che anticiparono Facebook e i silenzi dell’inserviente-artista Henry Darger che dipinse decine di quadri meravigliosi e inquietanti senza mai mostrarli a nessuno; l’inconsistente interconnessione umana dell’era digitale e l’arida gentrificazione di luoghi simbolici come Times Square.
Con Città sola il Saggiatore presenta al pubblico italiano una delle autrici più originali del panorama internazionale contemporaneo. La sua è un’opera ambiziosa che, grazie a una scrittura sinestetica e conturbante, scava a fondo nell’anima di ognuno di noi, affrontando le umiliazioni, le paure e le ossessioni dell’essere soli. Con la speranza che rivelare significhi talvolta anche curare. Perché, come ricorda Olivia Laing, la solitudine è un posto affollato.

LA MIA OPINIONE: E’ un saggio che tratta un tema troppo spesso sottovalutato dalla collettività, ma molto diffuso: la solitudine; lo fa attraverso un viaggio alla scoperta dell’arte, ma soprattutto degli artisti che, visti dall’altra parte delle loro opere, sono stati in realtà molto soli. E’, però, anche un viaggio introspettivo dell’autrice alla scoperta di sé stessa, dei suoi desideri, delle sue passioni. Un tentativo continuo di rispondere alla domanda: “La solitudine è solo qualcosa di distruttivo oppure può servire per meglio conoscere noi stessi e capire quello che vogliamo?”.

Come ci si sente quando si è soli? Come quando si è affamati: affamati mentre tutt’intorno gli altri si preparano un banchetto. Assaliti dalla vergogna e dall’ansia, così ci si sente, e a poco a poco questa sensazione si emana all’esterno, isolando ancora di più chi è solo, estraniandolo sempre più.

  • O. Laing, Città sola, pag. 21

Il viaggio nei meandri di questo sentimento che tanto spaventa inizia proprio così; interrogandosi su cosa sia e quello che comporta nella vita di chi ne è invaso. In questo libro si parla della bellezza dell’arte di Andy Warhol con i colori tanto vivaci e i soggetti così usuali, che in realtà fanno da scudo all’animo pervaso dal grigiore della solitudine dell’artista; ci si trova a parlare di fotografia con David Wojnarowicz che riporta nelle sue istantanee il proprio mondo interiore in tutta la sua violenza e crudeltà. Tocca temi ancora attuali ai giorni nostri, come l’AIDS, e soprattutto la sua considerazione agli albori come “cancro dei gay“. Tratta, insomma, la solitudine da diverse angolazioni, a tout court.

La scrittura è diretta, incisiva, difficilmente lascia indifferenti. E’ stata una lettura, dura, forte, che mi ha dato, a volte, pugni diretti allo stomaco, ma che appena terminata ho capito quanto mi ha formato e, per certi versi, cambiato.

Non è sicuramente una lettura da leggere sotto l’ombrellone, ma credo che sia uno di quei libri che va assolutamente letto, perché come ha permesso all’autrice di capire di più sé stessa, potrebbe farlo anche con voi.

Concludo così:

La solitudine è personale, ed è anche politica. La solitudine è collettiva; è una città. E non ci sono regole su come abitarci, e non bisogna provare vergogna, basta ricordarsi che la ricerca della felicità non travalica e non ci esime dai nostri obblighi reciproci. Siamo tutti sulla stessa barca, e accumuliamo cicatrici in questo mondo di oggetti, questo paradiso temporale e materiale che troppo spesso assume il volto dell’inferno. Ciò che conta è la gentilezza; ciò che conta è la solidarietà. Ciò che conta è essere vigili e sempre aperti, perché se abbiamo imparato qualcosa da chi ci ha preceduto, è che il tempo dei sentimenti non dura per sempre.

  • O. Laing, Città sola, pag. 259

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intanto vi lascio il link con il catalogo completo dei saggi:

https://www.ilsaggiatore.com/